domenica 19 maggio 2013

Umanità: una missione fallita



Scrivere. Imprigionare tra le pagine il demone e sconfiggere la propria ossessione. Ma un demone che si rispetti deve avere un nome. E per trovarlo, è necessario sprofondare nei meandri dell'anima e tirarlo fuori. Ora, ammesso che il demone sia uno solo, io un nome ce l'ho: angoscia. Ma c'è un altro demone che mi accompagna: delusione.

Delusione verso il genere umano. Non ho stima né rispetto dei miei simili. Qualcosa è andato perduto per sempre. Fierezza, dignità, coraggio, libertà, lealtà, fedeltà. Sono cose che non appartengono più agli uomini. L'umanità è sconfitta. Alla deriva. E non mi bastano le lotte sociali e tutte le sceneggiate per farmi ricredere. Quello di cui abbiamo bisogno è una battaglia spirituale. Scoprire il guerriero che è in noi, e ripristinare i valori e i principi su cui fissare la propria anima. Dovrebbe essere questa, ora, la nostra missione.

L'ho detto in un bar, l'altro giorno. Ero con amici. La risposta non si è fatta attendere: «Guardate che culo!», ha esclamato un mio amico, agitando il cellulare. In pratica il guerriero che è in lui ha trovato su facebook il profilo di una tizia che posta le foto del suo culo.

Il punto è proprio questo: siamo una generazione di culi che parlano. Come fai a condurre una battaglia spirituale quando mancano i guerrieri? Parafrasando una delle tante frasi del romanzo Fight Club dello scrittore statunitense Chuck Palahniuk, noi non abbiamo scopi né obiettivi. Non abbiamo neppure una guerra da combattere. Abbiamo soltanto uno smartphone e una grande depressione che è la nostra esistenza priva di qualsiasi senso. D'altra parte, siamo cresciuti con i nostri padri che avevano già fatto tutto quando noi eravamo troppo piccoli per agire. A noi è rimasta la televisione che ci ha bombardato di immagini e di un mucchio di stronzate.

Ma voglio restare sul tema “Generazione di Culi” e, pensando al mio amico che agita il cellulare, mi piacerebbe adesso avere una platea di uomini e donne, riunirli al mio cospetto e rivolgermi a loro.

Agli uomini direi: «Ascoltatemi balordi: lo so che se vi tolgono youporn scendete in piazza a protestare. So anche che può essere eccitante. Ma adesso avete toccato il fondo. C'è un tempo per ogni cosa. E, soprattutto, un culo è un culo. Potete fotografarlo da tutte le angolazioni che preferite, addobbarlo come meglio credete, ma resta un culo che ogni mattina partorisce una sostanza che si chiama merda. In pratica, voi mettete mi piace ad un produttore di letame. Lo trovare davvero così eccitante? Materia organica che non siete altro, dovete diventare consapevoli del fatto che avete smarrito la vostra essenza di uomini. Non siete nati uomini per sbavare dietro ad una tipa che pubblica foto sexy. Ficcatevelo in testa prima di decomporvi e diventare anche voi letame».

Alle donne che ogni giorno contribuiscono ad incrementare il mercato delle vacche e delle puttane, direi: «Portatrici sane di deficienza umana, sono sicura che dentro di voi, nella vostra cavità vuota, siete consapevoli del fatto che la vostra unica funzione in questa società è quella di far fare una sega agli uomini che vi seguono. Quindi, in sintesi, siete del tutto inutili. Ma se vi fa sentire vive, pubblicate pure le vostre foto del cazzo, sapendo però che la sola ragione per la quale un uomo si sofferma a parlare con voi è che mostrate loro una mercanzia di cui, in realtà, siamo tutte dotate. Niente di esclusivo, quindi. La sola cosa che vi rende uniche è la merda che infesta il vostro cervello. Ma questo lo sapete già, altrimenti vi sareste dedicate ad un altro hobby».

In tutta franchezza, fosse per me, ripristinerei le dure leggi di Sparta. Bisogna condurre una battaglia spirituale, è vero, ma per farlo si deve eliminare il marcio. Il rischio sarebbe solo uno: l'estinzione della razza umana. Ma considerati i risultati, non sarebbe una gran perdita.

domenica 21 aprile 2013

Si può essere sinceri almeno con se stessi?


Dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. Stavo pensando che noi italiani non siamo stati progettati per questo. No. Noi italiani siamo un mix geniale di ipocrisia e buonismo. Fingersi buoni, seguire il gregge, crogiolarsi nel politicamente corretto e usare solo parole che possano strappare consensi e applausi. Ecco la nostra arte. Perché ciò che conta è essere accettati. Da chiunque. Dalla massa. Dalla società. Dal vicino. Dal fruttivendolo. Dal benzinaio. Perché così è più facile. E si ottengono un mucchio di cose. Ovviamente per me non è facile per niente vivere in una società dominata dall'ipocrisia. Ammetto che anch'io ho provato a recitare, ma non ho ottenuto alcun consenso. Semmai tanta angoscia e colon irritabile.

L'ipocrisia regna dovunque e cammina a braccetto con la stupidità grottesca dell'essere umano.
Settimana scorsa mi è capitato un episodio interessante riguardo la stupidità. Stavo camminando per strada e mi sono imbattuta in una folla variopinta di donne ferme davanti a Kiko, negozio di cosmetici. Incuriosita, mi sono avvicinata ad una ragazza e le ho chiesto informazioni.
«Siamo qui perché regalano uno smalto!».
«Uno smalto?!»
«Sì, devi andare nella pagina facebook, dare il consenso all'applicazione di accedere al tuo profilo, cliccare su "mi piace" e poi su "partecipa ora". Poi devi rispondere ad alcune domande, scrivere nome, cognome e data di nascita, stampare il coupon e presentarlo in uno dei negozi!»
«Tutto questo per uno smalto?», ho esclamato.
«Sì, è un'iniziativa stupenda!», ha risposto la ragazza, felice.
Ecco, se riuscissimo a mettere questo entusiasmo anche in altre cose, tipo rivendicare i nostri diritti e bla, bla, bla... ma no, per carità. Poi mi accusano di essere noiosa, quindi mi fermo qui. Tenetevi i vostri smalti.

Ieri pomeriggio, invece, ho parcheggiato l'auto e ho incontrato il mio vicino di casa. Anche lui ha parcheggiato la macchina e si è intrattenuto con il parcheggiatore abusivo, assumendo l'atteggiamento di un amico affettuoso.
«Come mai tutta questa gentilezza?», gli ho chiesto.
«Perché così mi guarda la macchina ed io sto più tranquillo. E poi ho il posto assicurato».
Inutile dire che lui "ufficialmente" mira al contrasto all'illegalità diffusa.

Dunque. Dire la verità. In questo momento non saprei proprio da che parte cominciare. Davvero. Forse potrei cominciare dicendo che tutti gli esseri esistenti al mondo sono genuini e sinceri perché si mostrano per quello che sono, senza artifici. Tutti, tranne l'uomo che concepisce la vita sociale come una commedia recitata. Lo spettacolo dell'umanità continua senza sosta. L'ingresso è libero. E gli stupidi stanno in prima fila. Sempre. In un contesto del genere, dire ciò che si pensa è controproducente. Qualcuno mi suggerisce che è meglio essere sinceri con se stessi piuttosto che con la società, battaglia persa sin dall'inizio. E allora mi domando: ma almeno con se stessi si può essere perfettamente sinceri e non temere tutta la verità?

giovedì 11 aprile 2013

Quanto sappiamo di noi?



Sto pensando a tutto il tempo che dedichiamo alla conoscenza dell'altro.
Quando ci imbattiamo in una nuova relazione, siamo pronti a fare qualsiasi cosa per la persona che amiamo, persino a cambiare religione e gusti alimentari. Se a lui/lei, ad esempio, piace la pizza capricciosa, noi ameremo la pizza capricciosa. Ma ci siamo mai domandati quale pizza ci piace davvero? Lo sto pensando perché oggi per la prima volta sono andata dal ginecologo. La mia prima visita. A 28 anni mi sono fatta fare un controllo generale. A parte il momento in cui il ginecologo mi ha chiesto: «Valentina, posso infilarti un dito nella vagina?», è filato tutto liscio. È stato come ricongiungersi con se stessi. Ho trascorso parecchie ore ad osservare le diapositive delle immagini del mio utero. Ho pensato: "C'è un mondo dentro di me che io non conosco". Mi sono emozionata. Ed è stato in quel momento che mi sono domandata: ma se il tempo che dedichiamo all'altro quando ci innamoriamo lo dedicassimo a noi stessi e alla nostra conoscenza, forse saremmo più felici? Quanto sappiamo di noi? Siamo disposti a fare gli straordinari per dimostrare il nostro amore agli altri, ma ci siamo mai domandati se vogliamo bene a quel mondo fantastico e misterioso che è in noi? E quanta strada siamo pronti a percorrere per ricongiungerci con noi stessi?

martedì 9 aprile 2013

Volevo nascere cretina


Il lunedì si conferma il giorno simbolo della coerenza perché non si smentisce mai: è un giorno di merda. Ieri ho veramente toccato il fondo. Ero talmente a terra che di notte ho parlato con Dio. In condizioni normali, io non parlo con lui. Preferisco Superman, Batman, Flash o al limite l'incredibile Hulk.

Comunque, gli ho detto: Caro Dio, lo so, io sto antipatica a te e tu stai antipatico a me, e su questo siamo d'accordo. Ma per la prima volta nella mia vita ho bisogno di un favore. Il patto è questo: tu domani mattina mi riformatti il cervello e mi fai svegliare completamente scema. Se per te va bene, dammi un segno. Un rumore. Qualsiasi cosa. Grazie infinitamente per la tua bontà... alleluia, alleluia.

Il segno mi è arrivato. Il rumore dello sciacquone del cesso del mio vicino.

Comunque, il “Chiedi e ti sarà dato” non funziona. Stamattina mi sono svegliata e sono ancora l'essere pensante e pesante di ieri.

Caro Dio, io volevo nascere cretina. Dimmi tu e ditemi voi che me ne faccio dell'intelligenza in un mondo come questo? Ha forse qualche utilità essere dotati d'intelletto e facoltà di pensare? Non la meditazione, non la bellezza, neppure la religione o la virtù rendono una vita felice. Il segreto della felicità è avere un cervello vuoto. Soltanto questo.

sabato 6 aprile 2013

Il segreto è non fare niente


Nuova tecnica di meditazione: ripetere le parole “Non mi manca niente”. Meglio farlo in uno spazio tranquillo, silenzioso e nella penombra. Serve per cambiare la vostra prospettiva sulle cose. Scoprirete una grande pace, avvertirete la vostra presenza interiore e vi accorgerete che siete perfetti. In altre parole, scoprirete che non vi manca niente. Ieri sera ho provato. Mi sono piazzata sul divano. Posizione del loto. Magari non proprio del loto, ma qualcosa del genere. E ho iniziato.

"Non mi manca niente. Non mi manca niente. Non mi manca niente. Non mi manca niente. Be', proprio niente non direi. Cioè, qualcosina mi manca... ZITTA... Non mi manca niente. Non mi manca niente.... un contratto, magari... FINISCILA... Non mi manca niente. Non mi manca niente... e un uomo, uno di quelli che ti fanno sentire donna dentro e fuori.... BASTA... Non mi manca niente. Non mi manca niente... più soldi, quelli sì che mi mancano, dicono che non fanno la felicità, ma chi cazzo ci crede? E ALLORA! Non mi manca niente. Non mi manca niente.... il sesso. Dai, il sesso è importante e tu non sai neanche com'è fatto un orgasmo. Non mi manca niente. Non mi manca niente. Niente, non ci riesco. Lasciamo perdere. Sai che c'è? C'è che mi manca la concentrazione".

Queste tecniche non funzionano. Il segreto è un altro. L'ho scoperto quando mi sono presa una birra dal frigo e mi sono piazzata di nuovo sul divano. Di colpo ho capito tutto. Così. All'improvviso. Ho capito qual è il segreto. E il segreto è... non fare niente! Insomma, la vita è incasinata e noi ci troviamo sballottati in questo sputo di terra senza sapere cosa fare. Ti dicono un sacco di stronzate, tipo: “Chiedi il meglio dalla vita”. “Prenota una vacanza di lusso”. “Scolpisci il tuo corpo”. “Combatti le rughe”. “Punta al massimo”. “Sii felice”. E tu ci dai dentro. Ma se ci ragioniamo con calma, ne vale davvero la pena correre tanto? Voglio dire, ho visto tizi che senza muovere un dito hanno ottenuto grandi cose e altri, invece, che non sono riusciti ad ottenere un cazzo nonostante sacrifici e impegno. Ecco, ieri sera ho capito che non è necessario menarsi tanto. Se è scritto che qualcosa di buono devi combinarla, la combini lo stesso. Tu punti, Dio tira il dado e sorride come ogni bravo croupier che si rispetti. Il numero esce? Bene. Il numero non esce? Sorridi e passa avanti. In teoria è così che dovrebbe andare...

In sintesi, questa è la conclusione a cui sono giunta durante la mia serata di meditazione. Devo dire che per un po' mi sono sentita illuminata. Però sta angoscia è sempre qui. E mi sa che pure lei si è illuminata. Ormai siamo una cosa sola.

giovedì 4 aprile 2013

Tecniche di rilassamento: Mavaffanculo!!!!




La mancanza di felicità è il frutto dello scontro tra le nostre pulsioni naturali (tipo mandare a fanculo tutti) e le esigenze della civiltà (tipo sorridi e fai l'ipocrita altrimenti so' cazzi). Ci sono diverse tecniche per avvicinarsi alla felicità. Una di queste è l'azione pura. Dice lo Zen: “Così come il pesce nuota nell'acqua senza curarsi dell'acqua, quando è tempo di vestirti, indossa i tuoi abiti e quando devi sederti, siediti e basta!”. Godere del piacere di fare le cose mentre si fanno. Diventare testimoni di se stessi. Non ti piace il lavoro? Bene, osserva te stesso mentre lavori, ma non lamentarti e non dire che vuoi cambiare. Il puro osservatore che è in te prenderà il sopravvento e la tua coscienza scoprirà un luogo interiore energico e silenzioso. Vabbe', mi sono detta. Proviamoci.
Mi chiama il caposervizio. Dice: «Scuola vandalizzata. Ci serve un video per il sito. Pensaci tu».
Sì, perché forse non vi ho detto che oltre a scrivere pezzi, giro e monto i servizi video per il sito web del quotidiano. In pratica, è tutto incluso nel pacchetto “sfruttamento di base”.
«Chi c'è sul posto?», chiedo.
«Ho mandato Licia. Comportati bene con lei».
Licia. In redazione dicono che è perfetta per fare le telepromozioni di carta igienica. Si fa trovare davanti l'ingresso della scuola.
«Di cosa devo parlare?», cinguetta, quando mi vede.
Sorrido. «Di quello che è successo».
Osserva te stessa, mi dico. Osserva te stessa e non badare a questa deficiente.
Licia intanto continua a parlare. «Senti, io al primo piano non ci salgo. Ci sono le polveri ed è pericoloso».
Traduzione: tutto distrutto, il che significa sbriciolamento dei materiali e dunque polveri nocive alla salute. Va bene. Non è un problema. Al primo piano ci vado io. Faccio le riprese e poi torno giù. Iniziamo a girare. Suggerisco a Licia di descrivere quello che vede.
«D'accordo. Posso cominciare?»
«Sì, vai!»
«Allora, la scuola è divelta, i cancelli sono divelti, gli armadietti sono divelti, le pareti sono divelte, i cartelloni sono divelti, i banchi sono divelti...»
E pure i miei coglioni, vorrei aggiungere.
Poi Licia si blocca: «Non è che conosci un sinonimo di divelto?»
Ecco le mie farneticazioni deliranti. Ma come faccio ad essere spettatrice di me stessa quando ho una deficiente davanti? Fanculo. Fanculo a Licia e al mio caposervizio. Fanculo al quotidiano per il quale lavoro, uno dei più importanti. A volte, vorrei dire ai lettori: “Ehi, guardate che vi prendono in giro. Lo fanno tutti i giorni, e voi ci cascate. Sempre”. Ma tanto non servirebbe a niente. Alla gente piace essere presa in giro. E allora fanculo pure alla gente. E fanculo allo Zen e alle tecniche di rilassamento. Ma soprattutto fanculo a te, Valentina, che non hai il coraggio di ribellarti.

mercoledì 3 aprile 2013

Un inizio incoraggiante

L'avevo detto e l'ho fatto. Ho avviato l'operazione “Liberarsi dall'Angoscia”. Primo punto: il lavoro. Riscattarmi da anni di umiliazioni. Ieri sono entrata in redazione con fare sicuro e passo svelto, sentendomi come Giovanna d'Arco a cavallo, alla testa delle truppe francesi, alla conquista d'Orlèans. Ho guardato in faccia il mio caposervizio e gli ho detto: «Alberto, devo essere sincera: dopo otto anni di orari no-stop e sacrifici, io sono stanca, pretendo un minimo di gratificazione e non accetto più l'idea di vedere incompetenti andare avanti solo perché raccomandati».
Risultato?
«Smettila con le tue farneticazioni deliranti del cazzo e torna al lavoro!»
Farneticazioni deliranti. Bella risposta. Sono uscita dalla redazione e mi sono sentita una stupida. Altro che Giovanna d'Arco. Insomma, che ci sto a fare in un posto del genere? Ho come l'impressione di essermi persa. Forse c'è stato un momento in cui mi sono allontanata dal sentiero, e adesso non ho la minima idea di dove mi trovo. “Farneticazioni deliranti”, ha detto lui. “Stronzo di un caposervizio”, aggiungo io.

lunedì 1 aprile 2013

Voglio fare sul serio


Oggi ho realizzato che se voglio liberarmi dall'angoscia, devo prendermi del tempo e pensare a me e alla mia vita. Di pomeriggio ho rifiutato con rammarico l'invito dei parenti. Niente classica passeggiata pasquettiana post pranzo. Sono rimasta a casa, da sola. Mi sono messa comoda sul divano, gambe incrociate, e ho chiuso gli occhi. Non ho mai meditato. Non so neanche da che parte cominciare. Dicono che sia sufficiente stare in silenzio e ascoltare se stessi.
Ok. Ascolta la tua voce interiore, mi sono detta. Ascolta la piccola bambina Valentina che è in te. Sono rimasta in ascolto, cercando di scoprire la vocina di cui tutti parlano. E in effetti qualcosa ho sentito. Il clacson di una macchina, ad esempio. Dai, concentrati, mi sono detta. Ascoltati.
Vive nella paura colui che è sottomesso.
Sì, è vero.
Vive nella paura colui che è sottomesso. Ed io lo sono. Lo sono sempre stata. Perennemente sottomessa, nelle relazioni sociali e nel lavoro. Ora, se voglio stare bene devo cominciare ad amarmi, e circondarmi di gente positiva, in gamba. Non come quello stronzo con il quale sono uscita sabato sera. Trentenne, giornalista alla riscossa. Simpatico, all'apparenza. Ho capito subito che non c'era sintonia tra noi. L'ho capito quando mi sono accesa una sigaretta e lui mi ha guardato le mani con aria disgustata.
«Che c'è?», gli ho chiesto, allarmata.
«Hai lo smalto sbavato. È segno di trascuratezza».
Poi, la classica domanda.
«Che tipo sei, Valentina?»
«Sono una tipa normale».
Non l'avessi mai detto.
«Cara Valentina, cos'è normale oggi?»
E giù con la filosofia del cazzo. Un Freud consumato dai pensieri. Un fiume di pippe mentali. Fanculo, coglione.
Va bene. È passata. Non ci pensare più a quel tizio, mi sono detta. Concentrati su te stessa. Nonostante i miei sforzi, devo dire che la meditazione casalinga non ha funzionato. Allora ho preso un foglio di carta e mi sono interrogata: cos'è che vuoi fare veramente, Valentina?
Stare bene. Ritrovarmi. Trovare la mia vita e la mia direzione. Rispettarmi. Amarmi. A quel punto ho stilato una sorta di scaletta. È venuto fuori una cosa del tipo:

  • Relazioni sociali: frequentare persone stimolanti.
  • Sesso: scoprire cos'è l'orgasmo.
  • Immagine: prendermi cura di me.
  • Lavoro: parlare con il caposervizio, pretendere un minimo di gratificazione e smetterla di vedermi rubare lo spazio da incompetenti.

Poi, ho continuato a riflettere. Tutta la sera. Domani, tanto per cominciare, potrei andare in redazione e affrontare il mio caposervizio. Non so se ci riuscirò, se avrò il coraggio, se troverò le parole adatte e se mi uscirà la voce, ma devo provarci. Lo devo a me stessa. Voglio fare sul serio. E, in fondo, non ho nulla da perdere.

domenica 31 marzo 2013

Pasqua. Grande pranzo. Grande indigestione. Grande rottura di raggi cosmici. Ma soprattutto, grande angoscia.


Pasqua. Grande pranzo. Grande indigestione. Grande rottura di raggi cosmici. Ma soprattutto, grande angoscia.
Oggi ero a tavola. Mi stavo ingozzando di salsiccia come segno di pentimento, e all'improvviso ho pensato a questa parola. Angoscia. L'ho sentita pronunciare per la prima volta qualche giorno fa.
«Tu soffri di angoscia».
Me lo ha detto il medico. È stata una scoperta sconvolgente. E dire che ero andata da lui per il solito colon irritabile. A casa ho cercato su wikipedia. Angoscia. Paura senza nome. Bella definizione. E quindi? Che roba è?
Io non lo so quand'è che è cominciata. Questa angoscia, voglio dire. Mi sento angosciata, è vero. E adesso che ci penso è una vita che vivo nella paura. Ho paura di tutto. Anche quando esco con un uomo. Invece di pensare alle cose belle, mi concentro su quelle brutte e rompo le palle. È qualcosa che non so gestire. A volte cerco un motivo per giustificarla, ma peggioro la situazione.
Gli amici mi dicono: «Ti devi distrarre». Fanculo, vorrei rispondergli. Sono tutti fissati con questa distrazione. Dal mio punto di vista, la distrazione è inconsistente. Alla fine, devi comunque fare i conti con la realtà.
Io non voglio distrarmi. Io voglio capirci qualcosa.
Il medico comunque è stato chiaro: «Tu vorresti mordere la vita e invece mordi te stessa. Devi smetterla di allenarti costantemente al pensiero di una catastrofe imminente. Smettila di costruirti barriere e difese. Devi imparare a stare bene fino in fondo. Tu pensi alle cose brutte e ti lasci sfuggire quelle belle. Ma la soluzione è semplice, Valentina. Vivi. Impara a vivere e a lasciarti andare».
Giusto. Imparare a vivere. Imparare a lasciarmi andare. Imparare ad amarmi. Imparare a buttarmi. Imparare a lanciarmi. Imparare a mordere la vita. Imparare a mordere la gente. Imparare a... vabbe'... si può fare. Posso provarci. Che ci vuole?


sabato 30 marzo 2013

Sottofondo musicale


Governo impossibile. Tragedia della politica. Napolitano resta fino all'ultimo giorno del suo mandato. Due gruppi di saggi e la crisi che intanto pesa sulla Pasqua. Crollano le partenze, disertati i ristoranti. Oltre 50 milioni di italiani non faranno neanche un giorno di vacanza. E poi i sondaggi, un mese dopo il voto: il Pdl torna primo partito, il Movimento 5 stelle perde colpi, il Pd pure, ma potrebbe recuperare con Renzi che nel frattempo il 6 aprile sarà ospite di Maria de Filippi. Com'è che fa quella canzone scritta dall'assessore "silurato picchì dissi buttane"?

... povera patria, schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos'è il pudore...

Il rossetto mi sta bene.
E poi il rosso mi dona.
Mi fa sembrare più attraente.
Ma non è troppo rosso?
Comunque la voce di Battiato è unica. E poi le parole... cazzo, che parole.

... tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni, questo paese è devastato dal dolore...

Sembro una cretina.
Lui indosserà jeans e maglione.
Io indosso gonna nera e giacca nera.
Sono troppo elegante.

... povera patria, nel fango affonda lo stivale dei maiali. Me ne vergogno un poco, e mi fa male vedere un uomo come un animale...

Niente tacchi.
Non voglio essere attraente.
Penserà che voglio sedurlo.
Ma io voglio sedurlo?
Cazzo, che paese di merda. E il rossetto fa pure schifo.

... non cambierà, non cambierà, si che cambierà, vedrai che cambierà...

giovedì 28 marzo 2013

A volte senti il peso


A volte senti il peso. Succede quando ti svegli la mattina e ti alzi dal letto. Sai che devi cercare il tuo posto, ma sai anche che quando lo troverai, non sarai pronto.
Il peso.
Il peso di ciò che fai in ogni singolo istante della tua vita. Il peso straziante di parole non dette. Il peso dei sogni che fanno a cazzotti con le frustrazioni. Il peso della ricerca di un mito che dia senso ai tuoi giorni.
Stamattina io l'ho avvertito questo peso.
Ero su un cazzo di treno affollato, con i tacchi troppo alti, e guardavo dal finestrino un paesaggio dal sapore sfuggente. Poi mi sono ritrovata al supermercato, in fila, avanzando un centimetro alla volta verso la cassa, come nelle processioni, fissando un carrello pieno di roba inutile, il mio.
Allora, mi sono fatta una domanda.
Una sola domanda.
«Valentina, l'avresti il coraggio di mollare tutto, qui, ora, interrompere quello che stai facendo, saltare giù dal treno, gettare per terra i sacchi della spesa, le scarpe scomode, gli abiti stretti, mollare tutto. E correre. Senza un motivo. Senza una cazzo di direzione. Valentina, l'avresti questo coraggio?»


martedì 26 marzo 2013

Mi presento


Mi chiamo Valentina e il mio nome fa rima con cretina. Faccio la giornalista. Un bel mestiere, certo, se non fosse per alcune "cosette". Beppe Grillo non ha tutti i torti quando dice che i giornalisti sono frustrati. Non capisco tutta questa indignazione. Io, ad esempio, sono una giornalista frustrata a 10 euro a pezzo, talentuosa, ma frustrata. Però non è colpa mia. Colpa del sistema. Tu entri in una redazione con l'aria di un William Wallace sul piede di guerra, pronto a raccontare la verità, soltanto la verità, urlando ai nemici «che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà», e poi ti ritrovi come Fantozzi. È il sistema che non funziona. Bisognerebbe tornare alle origini e mettere a posto gli ingranaggi.
Ho ventotto anni e una vita che potrei definire normale, se non fosse che ho una spiccata dote, quella di complicarmi le situazioni da sola.
Normale è normale. Niente grandi colpi di scena. Qualche trauma, forse, qualche delusione.
Sono in perenne bilico con me stessa, ma anche questo, in fondo, è normale.
La mia prima volta è stato un disastro. L'ho fatto per terra, la notte di capodanno. Avevo sedici anni e non ho provato niente. Non che in seguito abbia provato chissà cosa, però la prima volta dovrebbe essere qualcosa di speciale.
Socializzare non è il mio forte: tu baratti la tua personalità e le tue idee in cambio di un po' di compagnia. Onestamente, io non ho molto da barattare.
Questi sono i punti che mi vengono in mente, ma ce ne sono molti altri. Strada facendo, li elencherò tutto. Perché sento che c'è qualcosa di profondamente disordinato in me. E allora ho capito che forse devo cominciare a raccontarmi. Avere curiosità di me stessa. E farlo senza pudore.