Pasqua. Grande pranzo. Grande
indigestione. Grande rottura di raggi cosmici. Ma soprattutto, grande
angoscia.
Oggi ero a tavola. Mi stavo ingozzando di salsiccia
come segno di pentimento, e all'improvviso ho pensato a questa
parola. Angoscia. L'ho sentita pronunciare per la prima volta
qualche giorno fa.
«Tu soffri di angoscia».
Me lo ha detto il medico. È stata una
scoperta sconvolgente. E dire che ero andata da lui per il solito
colon irritabile. A casa ho cercato su wikipedia. Angoscia.
Paura senza nome. Bella definizione. E quindi? Che roba è?
Io non lo so quand'è che è cominciata. Questa
angoscia, voglio dire. Mi sento angosciata, è vero. E adesso che ci
penso è una vita che vivo nella paura. Ho paura di tutto. Anche
quando esco con un uomo. Invece di pensare alle cose belle, mi
concentro su quelle brutte e rompo le palle. È qualcosa
che non so gestire. A volte cerco un motivo per giustificarla, ma
peggioro la situazione.
Gli amici mi dicono: «Ti devi distrarre». Fanculo,
vorrei rispondergli. Sono tutti fissati con questa distrazione. Dal
mio punto di vista, la distrazione è inconsistente. Alla fine, devi
comunque fare i conti con la realtà.
Io non voglio distrarmi. Io voglio capirci qualcosa.
Il medico comunque è stato chiaro: «Tu vorresti
mordere la vita e invece mordi te stessa. Devi smetterla di
allenarti costantemente al pensiero di una catastrofe imminente.
Smettila di costruirti barriere e difese. Devi imparare a stare bene
fino in fondo. Tu pensi alle cose brutte e ti lasci sfuggire quelle
belle. Ma la soluzione è semplice, Valentina. Vivi. Impara a vivere
e a lasciarti andare».
Giusto. Imparare a vivere. Imparare a lasciarmi
andare. Imparare ad amarmi. Imparare a buttarmi. Imparare a
lanciarmi. Imparare a mordere la vita. Imparare a mordere la gente.
Imparare a... vabbe'... si può fare. Posso provarci. Che ci vuole?